
"Ho sempre saputo che quella montagna era magica; anche il vento recava voci di trapassati e la nebbia dei loro spiriti leggeri.
D'estate la luce abbacinante delle radure tra i faggi aveva poteri medianici: ho avuto anch'io delle visioni. L'ho vissuta così, intensamente ed essa mi ha stregato per sempre, ora che tardivamente comincio a capire da quanti popoli fù attraversata ed abitata, a quanti dominatori sottomessa, da quanti intenti ricercata.
Mi rivelerei provinciale e di parte se non chiarissi che tutta quella montagna, dai fianchi stretti e dalla lunga schiena, ricca di acque e popolata di faggi, la "dorsale", come la chiamarono, fu infinitamente contesa, appropriata e riappropriata, necessaria al transito, senza alternative, non impantanata e ricca di miasmi come la grande Piana silvestre, non riarsa come le rocche orientali, perciò anche adocchiata da levante e da ponente; possedeva essa sola tutti i requisiti che sull'uno e sull'altro versante non si ritrovavano mai assieme.
Devo credere alla pervasività, alla permanenza degli ectoplasmi delle civiltà sparite e, con esse, delle sofferenze, delle ribellioni, delle fughe, delle paci quiete, degli sradicamenti, dei ritorni e quella montagna li ebbe tutti, più volte nei millenni e ne mantiene ancora le ridondanze.
Là sopra, in qualunque stagione vi capiti, non sei mai solo. La ressa delle compresenze è tale che le orecchie si riempiono di frastuoni anche nei più durevoli e distesi silenzi.
Afferro ora il senso ingenuo ed ineffabile del sentirsi parte delle infinite generazioni dell'uomo, della immortalità della specie; accanto agli alberi sempre fedeli al loro destino, alle pietre che non mutano mai sito, su quella montagna dei sette popoli nulla è mai morto veramente."
Ho tratto queste sensazioni dal libro "Zomaro, la montagna dei sette popoli" di Domenico Raso, cittanovese che sente la sua appartenenza a questa terra, alla sua montagna.
Chiunque sia stato su allo Zomaro e si sia incamminato giù sotto le faggete od abbia "osato" l'ombra delle pinete o si sia affacciato sul versante ad oriente a respirare l'aria dello Jonio sa che Domenico Raso dice il vero; nel silenzio che quì è diverso che altrove la sensazione di non essere soli, di voci che ti sussurrano all'orecchio è reale, intensa e forte. Chi non ascolta con l'animo puro, "jancu", la percepisce come una sensazione di angoscia; chi sente invece dentro di se il fluire dello spirito di questa terra su questa montagna si sente in pace, si sente a casa.




D'estate la luce abbacinante delle radure tra i faggi aveva poteri medianici: ho avuto anch'io delle visioni. L'ho vissuta così, intensamente ed essa mi ha stregato per sempre, ora che tardivamente comincio a capire da quanti popoli fù attraversata ed abitata, a quanti dominatori sottomessa, da quanti intenti ricercata.
Mi rivelerei provinciale e di parte se non chiarissi che tutta quella montagna, dai fianchi stretti e dalla lunga schiena, ricca di acque e popolata di faggi, la "dorsale", come la chiamarono, fu infinitamente contesa, appropriata e riappropriata, necessaria al transito, senza alternative, non impantanata e ricca di miasmi come la grande Piana silvestre, non riarsa come le rocche orientali, perciò anche adocchiata da levante e da ponente; possedeva essa sola tutti i requisiti che sull'uno e sull'altro versante non si ritrovavano mai assieme.
Devo credere alla pervasività, alla permanenza degli ectoplasmi delle civiltà sparite e, con esse, delle sofferenze, delle ribellioni, delle fughe, delle paci quiete, degli sradicamenti, dei ritorni e quella montagna li ebbe tutti, più volte nei millenni e ne mantiene ancora le ridondanze.
Là sopra, in qualunque stagione vi capiti, non sei mai solo. La ressa delle compresenze è tale che le orecchie si riempiono di frastuoni anche nei più durevoli e distesi silenzi.
Afferro ora il senso ingenuo ed ineffabile del sentirsi parte delle infinite generazioni dell'uomo, della immortalità della specie; accanto agli alberi sempre fedeli al loro destino, alle pietre che non mutano mai sito, su quella montagna dei sette popoli nulla è mai morto veramente."
Ho tratto queste sensazioni dal libro "Zomaro, la montagna dei sette popoli" di Domenico Raso, cittanovese che sente la sua appartenenza a questa terra, alla sua montagna.
Chiunque sia stato su allo Zomaro e si sia incamminato giù sotto le faggete od abbia "osato" l'ombra delle pinete o si sia affacciato sul versante ad oriente a respirare l'aria dello Jonio sa che Domenico Raso dice il vero; nel silenzio che quì è diverso che altrove la sensazione di non essere soli, di voci che ti sussurrano all'orecchio è reale, intensa e forte. Chi non ascolta con l'animo puro, "jancu", la percepisce come una sensazione di angoscia; chi sente invece dentro di se il fluire dello spirito di questa terra su questa montagna si sente in pace, si sente a casa.
3 commenti:
ma quanto è bello noi ogni ano andiamo a lorica sul lago Arrvo
Per Marcella:
Ciao cara,
si, è davvero una meraviglia!
Un abbraccio ed a presto.....
Per Zagara:
Ciao ciber gemellina!
Allora la conosci un po la Calabria?
Un fuerte abrazo .........
Foto eloquenti !
Autentico adescamento che suscita il desiderio di
aggirarsi in quegli spazi che avvolgono con preziosi profumi, strane sensazioni inattese.
Grazie Manolita. Mil besos.
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