Nel 1835 Alessandro Dumas (padre) intraprese un viaggio in Sicilia e Calabria, sulla scia di tanti altri famosi viaggiatori inglesi e tedeschi che avevano "scoperto" l'esistenza della Calabria grazie, purtroppo, al terremoto del 1783, ancora vivo nella memoria popolare, degli abitanti di questa parte della provincia reggina, per la terribile violenza con la quale rase letteralmente al suolo molti dei paesi della Piana di Gioia Tauro (Piana degli Ulivi) e che addirittura, nelle zone vicine all'epicentro, modificò la morfologia del terreno cancellando montagne ed aprendo profonde voragini tanto da essere a tutt'oggi ricordato come "Il Flagello".
Com'era consetudine, per i viaggiatori del tempo, percorse la Calabria a piedi ma solo in parte; in alcuni tratti si mosse via mare onde evitare le zone dove il percorso via terra sarebbe stato impervio o pericoloso.
In questo suo viaggio in Calabria la sua anima di scrittore subì il fascino delle leggende e dei racconti delle gesta dei briganti ingigantite dalla fantasia popolare e che gli servirono come spunto per le trame dei suoi romanzi.
Tre romanzi, in particolare, vennero ambientati in Calabria; "Le Capitaine Arena", "Maitre Adam le Calabrais" e "Cherubino et Celéstine".
Questo è uno dei racconti da lui raccolti in questo suo viaggio ed è tratto appunto dal suo libro "Viaggio in Calabria".
"Era una bella sera d'autunno, mastro Terenzio, sarto a Catanzaro aveva litigato con la signora Giuditta, sua moglie, a causa di un piatto di "maccarruni" che costei, da quindici anni che i coniugi erano sposati, si ostinava a preparare in un modo diverso da come mastro Terenzio li preferiva. Da quindici anni tutte le sere, alla stessa ora, la lite si rinnovava per la stessa causa.
Quella volta la lite era andata così lontano che, ritirandosi nella sua stanza, Giuditta aveva lanciato a mo' d'addio a suo marito un portaspilli ben guarnito ed il proiettile aveva colpito il povero sarto tra le due sopraciglia. Ne era risultato un dolore immediato da portare l'esasperazione del povero uomo al punto da fargli esclamare "Oh! Quante cose darei al diavolo se mi sbarazzasse di te!", "Eh! Che gli daresti, pezzo d'ubriaco?" esclamò la signora Giuditta, che aveva sentito, riaprendo la porta.
"Gli darei" esclamò il povero sarto "questo paio di calzoni che faccio per don Girolamo, parroco di Simeri!", "Disgraziato!" rispose Giuditta "Faresti meglio a glorificare il nome del Signore che t'ha dato una donna paziente come me piuttosto che invocare il nome di Satana." E richiuse bruscamente la porta della sua stanza. Mastro Terenzio attese ancora un po fermo ed in silenzio nel timore che Giuditta tornasse per continuare la lite e convintosi di essersene liberato per quella sera si dispose a tornare al suo lavoro.
Il suo stupore fu però grande quando, rivolgendo lo sguardo verso i calzoni di don Girolamo che erano poggiati sulle sue ginocchia, scorse di fronte a lui, un vecchietto dall'aspetto piacevole, vestito tutto di nero, con i gomiti appoggiati sul banco da lavoro ed il mento tra le mani.
Il vecchietto e mastro Terenzio si guardarono un istante negli occhi; poi mastro Terenzio, rompendo per primo il silenzio: "Scusate, Eccellenza, ma posso sapere cosa aspettate?" "Che cosa aspetto!" chiese il vecchietto? "Devi ben saperlo!"
"No! Che il diavolo mi porti via!" rispose Terenzio.
A queste parole avreste dovuto vedere la gioia del vecchietto; gli occhi gli brillarono come la brace, la sua bocca si aprì fino alle orecchie e dietro di lui si sentì una cosa che andava e veniva, scopando il pavimento.
"Che cosa aspetto! Ebbene aspetto i miei calzoni." "I vostri calzoni? Ma voi non avete mai ordinato dei calzoni!"
"E' vero! Ma tu me li hai offerti ed io li accetto." "Io! Offerto dei calzoni? Quali?"
"Quelli!" disse il vecchio indicando i calzoni su cui il sarto lavorava; "Ma questi appartengono a don Girolamo, il parroco."
"Cioè appartenevano a don Girolamo sino ad un quarto d'ora fa, adesso sono miei. Non hai forse detto che avresti dato quei calzoni se ti avessero sbarazzato di tua moglie? Ebbene accetto il baratto; in cambio dei calzoni ti porto via tua moglie. E lo farò appena li avrò indossati." Il sarto sempre più stupito esclamò "Veramente? Oh, che gentiluomo. Permettetemi di abbracciarvi."
"Così siete venuto per questo! Che bravo gentiluomo! E vi accontentate di un paio di calzoni? Di così poco! E appena saranno pronti vi porterete via mia moglie, vero?" mastro Terenzio era pieno di gioia e si rimise a cucire con tanto entusiasmo che non si vedeva neanche la mano andare e l'opera avanzava con una rapidità miracolosa. Ma ciò che sembrava più stupefacente in tutto questo e che lasciava sorpreso mastro Terenzio era che, benchè i punti si susseguissero con rapidità, il filo restave sempre della stessa lunghezza senza bisogno d'infilare l'ago sì che avrebbe potuto non solo completare i calzoni del vecchio ma cucire tutti i calzoni del reame delle Due Sicilie. Fenomeno questo che gli gli diede da pensare, per la prima volta, che il vecchietto poteva essere realmente ciò che sembrava.
Mentre lavorava alacremente mastro Terenzio cominciò a riflettere su questo nuovo pensiero ed il vecchietto percependo forse i dubbi che affollavano adesso la mente del sarto tirò fuori dalla tasca una bottiglia piena di un ottimo elisir che offrì al sarto e, intanto che chiacchieravano, il sarto proseguì nel suo lavoro fino a che un'esclamazione del vecchio non lo fece sobbalzare dal suo banchetto " Ebbene, che fai?" gli chiese, mastro Terenzio lo guardò con stupore"Che faccio?" "Si, che fai? Stai chiudendo il fondo dei miei calzoni." "Certo, lo chiudo." "Allora dove passerà la coda?" "Quale coda?" "La mia." "Ah! E' la vostra coda che fa questo fruscio sotto il tavolo? Allora, in questo caso" disse il sarto, ridendo di tutto cuore, invece di spaventarsi come avrebbe dovuto ad una risposta simile, "so chi siete e dato che avete una coda non sarei neanche stupito di sapere che avete un piede biforcuto, eh?" "Certo", disse il vecchio, "Guarda!" E alzando la gamba la passò attraverso il banco come se avesse dovuto attraversare un foglio di carta. E mostrò un piede biforcuto come quello d'un becco. "Bene!" Disse il sarto "Bene! Giuditta deve solo comportarsi bene!" e continuò a lavorare con tale velocità che qualche istante dopo i calzoni furono pronti. Mentre mastro Terenzio dava gli ultimi tocchi ai calzoni tutto soddisfatto del suo operato, lo strano vecchietto tirò fuori dalla tasca un violino ed un archetto dicendo "Adesso che tu hai mantenuto la tua parola, io devo mantenere la mia." E si mise a suonare una musica così vivace e trascinante che al primo accordo Terenzio si trovò in piedi sul banco come se l'avessero sollevato per i capelli e si mise a ballare con una tale frenesia di cui, anche se a quei tempi era ritenuto un bravo ballerino, non aveva mai avuto idea. Ma non fu tutto! Mastro Terenzio passava alternativamente dall'incredulità al più completo stupore mentre osservava tutti gli oggetti della stanza alzarsi volteggiando e iniziare a loro volta una incredibile danza. Ma tanto rumore svegliò la signora Giuditta che venne fuori dalla sua stanza; un silenzio di tomba seguì l'apparizione di tale degna donna che adesso era fuori di sé per la collera nel vedere che il marito approfittava del suo sonno per divertirsi. Ma Giuditta non era donna da trattenere la sua rabbia e restare immobile difronte ad un simile oltraggio così che afferrò le molle del camino per andare a strigliare ben bene suo marito. Terenzio però conosceva bene il suo carattere e mentre lei afferrava l'arma lui passò lesto sotto il banco e prendendo il diavolo per la sua lunga coda si fece scudo del suo alleato; sfortunatamente Giuditta non era una donna che contava i suoi nemici e, dato che in simili momenti occorreva che si scagliasse contro qualcuno, andò dritta verso il vecchio che la guardava con aria beffarda e gli sferrò con tutta la sua forza un colpo sulla fronte, ma con suo grande stupore il colpo non ebbe altro risultato che far venire fuori dalla parte colpita un lungo corno nero. Giuditta raddoppiò e colpì dall'altro lato; ne venne fuori un secondo corno uguale al primo. Giuditta cominciò a capire con chi aveva a che fare e pensò di rientrare nella sua stanza, ma nel momento in cui stava per varcare la soglia, il vecchio portò il violino sulle spalle, posò l'archetto sulle corde e diede inizio ad un'aria di valzer, così gaia e così trascinante che, quantunque il cuore di Giuditta fosse poco disposto alla danza, il suo corpo costretto ad ubbidire si mise a ballare freneticamente, benchè la donna lanciasse alti urli e si tirasse i capelli per la disperazione. Ciò durò circa dieci minuti, durante i quali il vecchio aveva l'aria di divertirsi molto, ed infine Giuditta cadde ansimante sul pavimento. "Adesso" disse il musicista, con una piccola pausa, "Poichè tutto ciò non è che un preludio ed io sono un uomo di parola, mio caro Terenzio andate ad aprire la porta; suonerò un'aria solo per Giuditta e ce ne andremo insieme a ballare all'aria aperta."
Sentendo queste parole Giuditta lanciò un urlo terribile e cercò di scappare; ma nello stesso momento risuonò una nuova aria e Giuditta, trasportata da potenza sovrannaturale, si rimise a saltare con vigore nuovo ed intanto supplicava mastro Terenzio, che per ciò che c'era di più sacro al mondo, impedisse che il corpo e l'anima della sua povera donna seguissero una simile guida. Ma il sarto, sordo agli urli di Giuditta, come Giuditta lo era stata ai suoi, aprì la porta come gli aveva ordinato il gentiluomo cornuto; in breve tempo il vecchio se ne andò, saltellando sui suoi piedi forcuti, seguito da Giuditta che torceva le braccia dalla diasperazione mentre le sue gambe battevano le capriole più smodate e le "bourrées" più frenetiche. Il sarto li seguì per un po per vedere dove andavano; li vide dapprima attraversare ballando un piccolo giardino, poi inoltrarsi in una stradetta che dava sul mare ed infine sparire nell'oscurità. Per un po continuò a sentire il suono stridente del violino, il riso acido del vecchio e le urla disperate di Giuditta; poi musica, riso e gemiti cessarono; seguì un rumore come quello di un'incudine arroventata immersa nell'acqua; un lampo veloce solcò il cielo spandendo uno spaventoso odore di zolfo in tutta la contrada. Poi tutto rientrò nel silenzio e nell'oscurità.
L'indomani, dopo aver dormito come non gli succedeva da dieci anni, Terenzio si alzò e, per rendersi conto del cammino che aveva fatto sua moglie, seguì le tracce del vecchio gentiluomo; cosa abbastanza facile perchè il suo piede biforcuto aveva lasciato impronte sulla terra del giardino e poi sulla sabbia della spiaggia dove si perdevano nella schiuma in riva al mare.
Da quel momento il sarto è l'uomo più felice della terra.
"E' un privilegio preparare la stanza in cui dormirà qualcun altro"
E. Jolley
E. Jolley
"Villa Lopez" è un Bed & Breakfast che offre ai suoi ospiti calda accoglienza, intimità, relax, eleganza e cura in ogni particolare.
Il suo blog nasce per raccontare le piccole straordinarie storie di amicizia nate tra una torta di mele ed una chiacchierata in giardino all'ombra "du' Chiozzu", il vecchio gelso che stende i suoi ombrosi rami, paterno e protettivo, e la cui maestosa mole parla di secoli di vita e sembra quasi raccontarti di tutti i monelli che ogni primavera davano la scalata ai suoi rami per "rubare" le sue more.
Tra le pagine di questo blog troverete i pensieri, a volte vere poesie, lasciati dai miei ospiti, veri protagonisti della vita di questo bed&breakfast; troverete pagine scritte proprio da alcuni di loro; troverete, a volte, riflessioni e considerazioni sui problemi di quest'angolo di Calabria e sul turismo; troverete leggende e racconti nati dalla fantasia popolare e tramandati nei secoli; poesie e brani di autori calabresi, spesso sconosciuti.
Il mio invito, a tutti i visitatori di questo blog, a lasciare i propri pensieri e commenti dando così vita e seguito a tante altre bellissime storie di simpatia ed amicizia.
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Il mio invito, a tutti i visitatori di questo blog, a lasciare i propri pensieri e commenti dando così vita e seguito a tante altre bellissime storie di simpatia ed amicizia.
4 commenti:
Strana favola hai pubblicato Zahxara.
Vuoi dire qualcosa alle donne ?
Vuoi dire a te stessa di essere meno contorta, meno esigente?
Come mai questa scelta ?
C'è una morale? Ci deve essere.
C'è sempre una morale!
Dice la favoletta che è bene recuperare la dolcezza che ci è propria?
Dice forse che tornare alla tenerezza è ancora l'arma migliore ?
Oppure è bene che ognuno trovi, da solo, la SUA morale ?
Grazie Renata,
mi fà molto piacere la tua "riflessione".
Devo dire che la scelta è stata un pò sofferta e ci ho pensato su davvero un bel pò.
E' un racconto di quel tempo; inventato da un uomo, raccontato da un altro uomo, in un tempo ed in un contesto sociale dove "parlavano" sempre e solo gli uomini.
La prima cosa che potrebbe venire in mente è che oggi quel racconto sarebbe inproponibile; le cose sono cambiate da allora e la morale che suggerisce questo racconto non ha senso, è cosa vecchia.
Mentre lo leggevo e poi, mentre scrivevo, un pensiero si è intrufolato nella mia mente e mi ha accompagnato con una strana sensazione di amaro; sono davvero cambiate così tanto le cose? E se si, sono cambiate ovunque in ugual misura? Apparentemente si, ma se grattiamo la superficie solo un pò?
Poi tutte le altre tue considerazioni sono molto più interessanti e stimolanti. E tutte ... vere.
Riflettendo su uno dei tuoi interrogativi mi viene da pensare che potrebbe dire qualcosa alle donne ma credo che potrebbe dire molto anche agli uomini.
Grazie ancora Renata. Credo che il mio pensiero ci tornerà su ancora.
Besitos
Ps: Ma quell'uomo ..... è stato davvero così felice di essere .... solo?
Ti chiedi :"Ma quell'uomo...è stato davvero così felice di essere....solo?"
Può essere vero sai?.
Ho visto donne rifiorire e ritrovare la gioia di vivere dopo la "dipartita" dell'uomo che, al loro fianco,le aveva soltanto negativamente condizionate.
La situazione vale tanto per l'uomo, quanto per la donna ma all'uomo riconosco (generalmente) una maggiore dose di semplicità.
Alla donna imputo un eccessivo contorsionismo di pensiero e una maggior complessità.
Generalmente s'intente.
All'uomo rimprovero (quando è il caso) di ritenere dovuto tutto ciò che gli viene dalla donna.
Sotto mille forme: altruismo, spirito di sacrificio, dedizione, molteplicità delle prestazioni (contabile, amante, infermiera, cuoca, badante, educatrice ecc. ecc.)
Uomini ! Non c'è niente di dovuto! Un grazie....cosa costa ?
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